Strain counterstrain: Current Concepts and Clinical Evidence
Author: Christopher Kevin Wong – Man Ther. 2012 Feb;17(1):2-8. doi: 10.1016/j.math.2011.10.001. Epub 2011 Oct 24.
Traduzione e sintesi a cura di Parravicini Giovanni FT, DO MROI
In cosa consiste la tecnica di Strain Counterstrain?
La metodica di Strain Counterstrain (SCS) è la quarta tecnica manipolativa osteopatica più usata negli Stati Uniti dopo le tecniche sui tessuti molli, le tecniche HVLA e le tecniche MET. È conosciuta anche con il nome di Positional Release (rilascio posizionale) ovvero una tecnica manipolativa indiretta che ha l’obbiettivo di eliminare il dolore muscoloscheletrico e la disfunzione somatica.
La chiave di volta per comprendere l’SCS è la ricerca accurata attraverso la palpazione dei Tender–Points (TP). I TP vengono descritti come una zona sensibile alla palpazione, edematosa, di dimensione molto piccola (<1cm), di forma circolare e localizzabile a livello muscolare, tendineo, legamentoso e fasciale. I TP si differenziano dai Trigger Points che invece sono localizzati unicamente a livello miotendineo.
Come si esegue un tecnica di SCS?
Il primo passo per eseguire correttamente la tecnica SCS è localizzare un TP associato ad una disfunzione muscoloscheletrica. Una volta identificato, l’operatore monitora manualmente il TP e muove il segmento disfunzionale per diminuire la dolorabilità palpatoria. Affinché ciò avvenga, bisogna accorciare i tessuti contigui al TP verso un punto di libertà o comfort. Per una corretta esecuzione della tecnica è fondamentale mantenere un tocco lieve sul TP in modo tale da essere accurati nell’esame palpatorio successivo. La tecnica ha una durata complessiva di 90s dopo di che il paziente è riportato nella posizione iniziale.
Da quando Lawrence Jones nel 1965 ideò l’SCS sono stati identificati più di 200 TP e sono state descritte molteplici tecniche per differenti disfunzioni muscoloscheletriche e viscerali.
Quali sono i meccanismi fisiologici proposti per l’SCS?
I meccanismi che spiegano gli effetti dell’SCS nella pratica clinica rimangono ancora largamente teorici. L’alterazione dell’attività neuromuscolare tra muscolo agonista ed antagonista, definita Teoria Propriocettiva, rappresenta la spiegazione maggiormente utilizzata per interpretare gli effetti dell’SCS sul sistema muscoloscheletrico. Una lesione rapida in allungamento del muscolo agonista stimolerebbe il fuso neuromuscolare causando una risposta riflessa di contrazione. La conseguente sensazione dolorosa produrrebbe una co-contrazione del muscolo antagonista eccitando l’attività del corrispettivo fuso. Questo squilibrio neuromuscolare, governato dall’eccitazione fusale, porterebbe ad un deficit della mobilità miofasciale e della trasmissione della forza a muscoli ed articolazioni contigue.
La teoria propriocettiva si fonda sul principio della regolazione neurofisiologica dei fusi neuromuscolari: l’allungamento delle fibre muscolari stimola l’attività del fuso determinando una contrazione riflessa del muscolo, viceversa accorciando le fibre, l’attività fusale decresce rilasciando la contrazione muscolare. L’accorciamento passivo indotto dalla manipolazione SCS riporterebbe in equilibrio l’attività fusale ripristinando il normale funzionamento neurofisiologico.
Pochi studi sono stati condotti per validare la teoria propriocettiva ed i risultati risultano conflittuali.
Un altro meccanismo d’azione ipotizzato è quello circolatorio. Attraverso il posizionamento passivo del segmento disfunzionale è possibile incrementare la circolazione locale, velocizzando il supporto nutritivo e rimuovendo gli scarti metabolici. Il miglioramento della circolazione dovrebbe ridurre il gonfiore, inibitore della funzione muscolare, ed invertire l’ischemia espressa come TP doloroso o disfunzione cronicizzata. Anche in questa seconda ipotesi d’azione dell’SCS gli studi sono carenti e sono necessari ulteriori ricerche per avvalorare questo razionale.
E’ presente evidenza clinica a supporto dell’efficacia dell’SCS?
Esistono diversi lavori scientifici che dimostrano l’efficacia dell’SCS sulla diminuzione del dolore percepito e palpatorio, e sull’aumento del range di movimento e della forza muscolare. Nonostante la ricerca sulla tecnica SCS sia in continua crescita e l’evidenza suggerisca la sua efficacia nella diminuzione del dolore, la scarsa metodologia degli studi ne limita le conclusioni. Risulta quindi importante condurre studi più rigorosi per validare i meccanismi fisiologici e gli outcome clinici.
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